Del maestro in bottega
Una sirena
La prevenzione

 

Editore: www.empiria.com

DEL MAESTRO IN BOTTEGA (Indice)

I Parte - I testi

  • I Curiositas
  • II Mio sussulto
  • III Ilaria
  • IV Poiein
  • V Del maestro in bottega
  • VI Audeniana
  • VII Byroniana
  • VIII Rimbaudiana
  • IX Indizi
II Parte - La bottega

  • I Curiositas
  • II Mio sussulto
  • III Ilaria
  • IV Poiein
  • V Del maestro in bottega
  • VI Audeniana
  • VII Byroniana
  • VIII Rimbaudiana
  • IX Indizi
  • X Vernacolare
Come è evidente scorrendo il sommario, il libro si divide in due parti speculari. Nella prima appaiono 80 poesie (40 edite e 40 nuove) particolarmente adatte ad essere “raccontate” (ed è ciò che avviene nella II parte) attraverso considerazioni biografico-aneddotiche, ricordi di letture, di traduzioni…
Esemplifico ponendo qui in successione la prima e la seconda sezione della prima parte, seguite dalle speculari prima e seconda sezione della seconda parte.


Dalla prima parte de Il Maestro in bottega

I

CURIOSITAS

1

Al canto in cerchio sincopato
Delle lingue desinenziali
Opporre il vacuo suono inane
Dell'ex lingua di Chaucer,
Restando perplessi al palato
Per l'u che fugge e diviene vi doppia
E la erre che non si riconosce più.
Saperne di più si dovrebbe
Del destino di desinenze
Quali splendida l'en del plurale,
Limpidi licheni sotto ghiaccio,
Lucerne in bacheca, orari da museo.

2

Vorrei quel tuo mondo di bambole
Con gli assassini come Macbeth,
Dove notte si accende se Prospero vuole
E i cattivi somigliano a Jago e Riccardo.
Vorrei un mondo di amanti con la testa d'asino
Denti di perla e pugnali nello sguardo,
Vorrei la nenia sommessa di Laerte
E la canzone del salice che piange,
Emilia addio vorrei.
E ringraziando per la troppa vita, il canto.

3

Se non sai che significhi in inglese to maroon
Pensa ad un nero schiavo che fugge
E' lui a maroon
E per una di quelle conversioni
Semantiche che fanno il bello delle lingue
Marronare qualcuno
Significa al contrario attivamente abbandonarlo
Specie su un'isola. Deserta.
Il verbo risale come è ovvio al settecento
E l'esempio classico e altrettanto ovvio
Cita Jan Svilt, homosexual sailor marooned.
Il verbo è regolare.

4

Usignolo dei millenni appena appeso
Alla trappolina operosa
Del trimestre di caccia
Il tuo suono infarcito di Lete
E rugiada, di spalancate finestre
Su mari in burrasca, si è franto
Nel giorno di un mese cretino
A un'ora precisa di avviso in brughiera
Con le reti e gli spari
Verso i secoli di nevi sulle mura
Di Castelseprio e lucertole e primavere.
I tuoi fondanti millenni usignoleschi
I tuoi mesi di eternità promessa
Sono gridi, artificio e natura
Stridi e arte del conservare
Stupidità da carezzare piano e
Profondamente strangolare.

5

Di poesia

Non hai forse già riempito
Tutto l'eserciziario?
Come radice nel suolo di ghiaia
Il vero labirinto ti sta dentro,
E se non ha nome cervello
Si chiama l'intestino:
In povere parole,
Storia o Sar-toria?
Ma infine Alice's sister vede il sogno.

6

Ci sono i temi per le poesie
I temi delle riflessioni sapute
I temi sòttolineati
Perché ci possa battere il verso.
Occorre mettere in rima il dovuto
Però non basta il gioco
Occorre il pensiero
E c'è il pensiero
Se c'è il pensiero.
Solo che rallenta la marcia l'uscita
("Se fai tardi, sto in pensiero")
La fuoruscita del nuovo regalo alla vita del solo
Se crede davvero innocente la sortita.

7

Con quella idea fissa in mente
Che comunque sarebbe sfuggito al presente
Come nella cronologia delle riviste
Autunno novantotto
Ricevuta nel novantanove,
Mai ci sarebbe stato
L'incontro del tempo con il tempo
Mai il pareggio.

8

Non mi piacciono le edizioni critiche
Dove è compresso il testo che amo
Tra due pagine a grana di riso,
Neanche di seguito puoi leggerlo
Messo com'è tra versi
Che non dicono niente
Sommerso dalla corrispondenza
Dagli inviti, dai musi duri del curatore
Coi suoi nemici.

9

La questione della lingua

C'era sempre Milano tuttavia
Là in basso
Che taceva,
E per strazi di poesia
Nell'ora che cedeva a consolàti avvisi
Estendeva il concetto di Toscana
Sorteggiando la bugia
Sulla soglia di più lingue costiere
Come un diodo che ci vede dieci piani
Rasentando riforme e in calce
Varie opere minori.

10

Una lingua di molo illuminato
Ad allattare la corrente
A risalire come un tempo verso oriente
In porto a Monfalcone
Due o tre grate paranze semivuote
Lentamente come il tempo trascina
Una rima, qualche manciata
Di bianca farina, un po' di nero
Dov'era la cappa
E quel bisogno di finestra chiusa
Certo quando fuori il vento...
Ma davvero per non lasciar fuggire
Per non lasciare scampo al sentimento.

11

Ho pensato a te, contino Giacomo, vedendo
Su una rivista patinata
Le foto degli scavi in Siria a Urkish,
A te e ai tuoi imperi e popoli dell'Asia
Quando intuivi immensamente lunga
La storia dell'umanità.
Altro che i Greci il popolo giovane di Hegel
O il mondo solo di quattromila anni della Bibbia
Credendo di dir tanto, fino a ieri.
Tu lo sapevi che sotto sette strati stava Urkish
La regina coi fermagli
L'intero archivio su mille tavolette
Già indoeuropea nella parlata
L'accusativo in emme. Capitale urrita
Dai gioielli legati all'infinita pazienza
Dei ricami in oro. Tu lo sapevi che poi gli Hittiti
Sarebbero giunti a conquistarla,
Già loro vecchi e di vecchi archivi nutriti...
Sono stufo di preti e di poeti, conte Giacomo.
E di miti infantilmente riadattati.

12

Le muse di Montale
Riporta in copertina
Un libro scemo. Con Carla Fracci
Al Forte, l'Annalisa e Dora
Dei polpacci, l'ombra di Bobi
La Volpe e di Esterina
L'orizzontale balzo. Tutte insieme
In un chiccione solenne
Irma Brandeis e la Gina
Drusilla e Lucia Rodocanachi.
Si fa per dire Maestro
Le tue sere così in percentuale
Entrate nella mia notte di veglia.
Piove dentro.

13

Come quando un tasto sbagliato
Sfiorato con la maiuscola in funzione
Produce sullo schermo effetti dirompenti,
Sparisce il verbo con tutte le varianti
Divengono stelline i cippi posti
A guardia dei dubbi
Finché annaspando trovi "annulla"
E tremi per scomparsa
Definitiva, speri
Di rivedere in luce azzurra
Riapparire di Shelley le risate
Cammuffate di pianto
Già versate.

14

Questo meraviglioso pioppo che si inchina
Ma solo un poco e in cima
Al vento, come un cenno del capo
Un rapido commento
Al tempo che farà,
Una baionetta lo saliva
Al tempo di lombarda piccola vedetta,
Un aquilone poi coi segni marinari
Oggi soltanto l'incisione
Via etere leggera
Del mio nuovo e-mail
Sul far della sera.


II

MIO SUSSULTO

1

Era Walter nel quarantanove
In seconda geometri di Asti.
Non sapeva se si chiedeva
D'essere per chi:
Il professore di estimo magari
Che guardava se sorrideva
E diceva di collettivo.

Ma quando a tutti fu conosciuto
Che lui in stazione poi ci restava
Anche quello se lo guardava
Era per finta che non vedeva.

Così per gli altri non aspettava
Che di piantarla con le parole.
Non le voleva quelle parole
Di tutti i tempi
Da fargli schifo.

Era la scuola di stare soli
Peggio per sempre
Solo l'inizio.
Ed una sera di pomeriggio
Mentre Pavese si compiangeva
Scelse da solo la sua ringhiera
Per archiviarsi
Come da un vizio.

2

Adidas

Così stanco ravviva la pista
Con la mollezza di gambe
Amaranto
Disegna ritorni
Rilascia in cerchio le ultime
Sciabolate di arti
Ed è sull'erba la sola rientranza
Dei fianchi la vita si muove
Con gli occhi serrati di luce.
Ansimando poi meno urgente
Si rivolta appoggiando il ginocchio
Il gomito ripiegato,
Guarda l'altro da poco sdraiato,
E risorgono appoggiati di spalle
Parlandosi di nuche quasi guance
Con un vero scherzo allacciando
Le braccia e restando
Uniti
Fanno rifanno e fanno
Capriola.

3

Il terzino anziano

Erano invecchiati
Anche quelli della sua età
Con la barba verde tra i piedi
E l'odore di maglia a righe,
Ma lui restava
In difesa
Pesante, a sentirsi i figli
Crescergli contro
E vendicarsi.

4

L'ala nuova

Fiera della bestemmia adulta
Entrando in campo sentiva
- Quasi -
Di amare le loro bave
(Quando si vive per dio a diciott'anni
Si dice zio porco
E si esce).
Poi si bagnava il pelo nel fondo
Stordendo supina il fiorista
Estimante.

5

Sci nordico

Senza guanti né occhiali né berretto
L'estone vincitore della gara,
La barba chiara imbrinata dai diamanti,
La tuta damascata una preziosa
Pelliccia da leccare. Sdraiato sul traguardo
Solleva lo sci destro liberando
Il falco tra le gambe,
La cerniera davanti abbassata
A sciogliere le spalle,
Pronto ad esigere pungendo dopo cena
Con la barba e le mani.

6

Mio sussulto

Mio sussulto
Mia ex segreta malattia
Mio stato chiuso nella vacuità
Di sguardi obliqui, mia pazienza
In mancanza di meglio, mia esuberante
Rinascita con
Una dichiarazione al mondo.


Dalla seconda parte de Il Maestro in bottega

I

CURIOSITAS

1
"Curiositas" definivano i latini il vagare disordinato della mente. Mentre si sta scrivendo un libro sui Canterbury Tales e contemporaneamente si sta traducendo Seamus Heaney, per esempio, può accadere di pensare alle lingue di lavoro come a organismi naturalmente senescenti e "al canto in cerchio sincopato delle lingue desinenziali...".

2
Quindi, mettendo a punto il seminario su Shakespeare per il primo anno, può accadere di configurarne l'esito italiano: "Vorrei quel tuo mondo di bambole...".

3
Poi, di giungere al Settecento del Dr Johnson e di seguirlo mentre stabilisce quali sono i verbi regolari, vagando tra numerosi esempi: "Se non sai che significhi in inglese to maroon...".

4
E di arrestarsi infine al primo Ottocento di John Keats, coi richiami all'"Ode to a Nightingale" che si perdono nel silenzio, di brughiera in brughiera, unitamente agli spari per l'apertura della stagione venatoria ancora praticata nel parco del Ticino: "Usignolo dei millenni appena appeso...".

5
Con solo una breve escursione nel vittorianesimo di Thomas Carlyle e di Lewis Carroll, che tuttavia può trasformarsi in una riflessione sul motivo per cui "curiositas" tenda a divenire narrazione in versi: forse per riuscire a leggere il sogno, come accade alla sorella di Alice, negli occhi di chi lo ha vissuto: "Di poesia".

6
Così la curiositas-punta di nevrosi si sposta ai soggetti delle poesie: "Ci sono i temi per le poesie...".

7
E ai luoghi deputati alla loro prima pubblicazione: "Con quella idea fissa in mente".

8
Nonché alla loro collocazione definitiva: "Non mi piacciono le edizioni critiche...".

9
Sulla questione della lingua, che ogni mio testo si porta dentro (almeno da quando Ludovico il Moro convocò il Bellincioni "acciocché per l'ornato fiorentino suo parlare" insegnasse ai lombardi "a limare e polire" il loro "alquanto rozzo parlare") ricordo di avere posto tante domande, una ventina di anni fa, al professor Anceschi; ed egli mi invitò a fare di quelle stesse domande oggetto di scrittura in versi, pubblicandone poi su "il verri" qualche esito: "La questione della lingua".

10
Un'altra punta di nevrosi-curiositas tende a stemperarsi solo quando oggetto della scrittura diviene un'altra scrittura, magari ancor più periferica, dialettale. Come con il grande poeta gradese Biagio Marin, dedicatario di un testo dove la parola lingua si materializza: "Una lingua di molo illuminato...".

11
Una curiositas che prima di cadere esausta ha ancora bisogno di sfogarsi ideologicamente volgendosi al più grande: "Ho pensato a te, contino Giacomo, vedendo...".

12
E ancora contro il Kitsch di certe operazioni editoriali: "Le muse di Montale...".

13
E infine di evocare con orrore l'apprendistato videoscritturale: "Come quando un tasto sbagliato...".

14
Chiudendo con l'idealizzazione del logo del nuovo indirizzo di posta elettronica: "Questo meraviglioso pioppo che si inchina...".


II

MIO SUSSULTO

Scrissi "Era Walter nel quarantanove" nel 1977, quando ancora ero completamente inedito come poeta. Avevo letto Pavese negli anni della adolescenza e non ero rimasto particolarmente colpito: percepivo in lui un non-detto, una irresolutezza alla verità personale, autobiografica, che mi lasciava sconcertato. L'avrei tanto voluto più coraggioso. Magari postumo, ma coraggioso. Saba comunque ci aveva lasciato Ernesto, Forster Maurice, Pasolini Amado mio. Così ambientai apposta nelle sue terre e nei suoi anni il suicidio di Walter (avvenuto in tempi e luoghi molto più vicini ai miei): per dirgli che non gli volevo bene.

Di Cesare Pavese in questa prospettiva, comunque, ripropongo "I due corpi", una poesia composta il 25 settembre 1923, che in qualche modo credo di avere "tradotto" in "Adidas" e negli altri testi di questa sezione.

I due corpi si scuotono avvinghiati,
muovono cauti, scattano felini,
ristanno a tratti, alenano sudati
poi tornano all'attacco repentini.
Schermano colle braccia, che i guatati
torsi potenti cingono. Ora, chini
sui due fianchi, si gravano i costati
e si torcono al suolo coi taurini
muscoli tesi sull'ossa crocchianti,
coi muscoli di pietra poderosi,
che, fremitando come archi scoccanti,
si dànno a terra la stretta suprema,
avviluppati com'serpi furiosi,
finché l'un sorga e sotto l'altro frema.

Cesare Pavese